Marzo 2020

A marzo 2020 il mondo si è fermato.

Quando a gennaio si è iniziato a parlare di coronavirus, nessuno ha immaginato quello che sarebbe accaduto da lì a poco.

Prima è toccato alla Cina e in particolare al capoluogo di Hubei.
In rete giravano i video dei cinesi che urlavano dai balconi “Wuhan, ce la farai” e noi, dal caldo delle nostre case, facevamo il tifo per loro. Preoccupati, ma con la compassione tipica di chi vive queste vicende con il distacco che danno i km. Come quando c’è un attentato dall’altra parte del mondo, scoppia una bomba in medio oriente o prende fuoco un intero paese, ma qui, nella parte fortunata del pianeta, tutto continua a procedere come se nulla fosse.

Poi è toccato all’Europa. I primi casi in Francia e in Germania, proprio a Monaco di Baviera, a poche fermate di tram dalla nostra casa.
Tutto sembrava ancora sotto controllo, tutto circoscritto.

Ma poi è stata la volta dell’Italia.
Sono state istituite delle zone rosse, ma solo per poco tempo. Ben presto, il 9 marzo, l’Italia intera si è fermata e poi anche l’Europa e il resto del mondo. Time square, Jema el Fnaa e tutte le piazze più affollate dei cinque continenti abitati sono diventate deserte.

Quando le piazze si sono svuotate, in Italia si sono riempiti i balconi.
Sono iniziati i concerti improvvisati, i dj set, i flash mob, le dirette Instagram, i corsi di lingua, i webinar e le lezioni di yoga.
Almeno i primi giorni. I primi giorni di questo tempo indefinito e dilatato.

A Marzo tutto si è fermato,
si sono fermati i trasporti,
si sono fermate le aziende,
si sono fermati gli eventi sportivi,
abbiamo smesso di uscire di casa per fare l’aperitivo,
abbiamo smesso di andare a trovare i parenti,
abbiamo smesso di vederci con la scusa del caffè (che poi il caffè non lo bevo nemmeno),
abbiamo smesso di viaggiare,
di conoscere,
di esplorare.

Ho rinunciato a prendere degli aerei, scoprire nuovi luoghi, partecipare ad un concerto e a realizzare uno dei sogni che ho fin da quando ero bambina.
Continuo a ripetermi che non è importante. Niente è importante davanti alle immagini dei militari che portano via da Bergamo i corpi senza vita, ma non riesco a non esserne triste.
Tutto mi rende triste, fragile, emotiva.

Ma nonostante quello che sta accadendo, sono felice di essere italiana, felice di essere in Italia. Il paese che nel bel mezzo di una pandemia riesce a sopravvivere condividendo meme e impastando la pizza.
E quando tutto questo sarà finito, voglio scoprire ancora di più di questo incredibile paese d’arte, cibo, cultura, natura e infinite meraviglie.
Le piazze si sono svuotate, ma sono ancora lì, fuori dalle nostre porte, e lì ritorneremo. A sgomitare davanti Fontana di Trevi, la torre di Pisa o i canali di Venezia per uno scatto da condividere sui social.

Oggi è il 31 marzo. È il ventiduesimo giorno di isolamento.
La lancetta dei secondi continua a scorrere mentre tutto sembra essersi fermato.
Riviviamo in loop la stessa giornata chiedendoci impazienti quando questo finirà, ma una cosa è certa: finirà.